Lo scorso 30 gennaio, durante un seminario organizzato dall’ESM (European Stability Mechanism, anche noto come ‘Fondo salva Stati’) Andrea Enria, presidente dell’European Banking Autohority - EBA, nell’ambito di un’ampia analisi su rischi e sfide che attendono il settore bancario europeo, ha delineato i tratti fondamentali di un possibile veicolo finanziario – Asset Management Company– europeo che potrebbe accogliere crediti deteriorati provenienti da banche europee in difficoltà per poi gestirli per un periodo di tempo predeterminato (pari al massimo a tre anni). La AMC sarebbe sostanzialmente una forma di bad bank, finanziata prevalentemente con fondi privati, ma con garanzia pubblica, che dovrebbe acquistare crediti deteriorati dalle banche al loro valore economico (eventualmente inferiore al valore al quale essi sono esposti in bilancio, ma superiore al valore al quale esse possono essere cedute immediatamente sul mercato a operatori privati), per poi rivenderli, entro 3 anni. In caso la vendita non potesse essere realizzata o avvenisse a prezzi inferiori rispetto al valore di cessione, interverrebbe lo stato membro di appartenenza della banca originariamente cedente e l’intervento di ‘colmatura’ della differenza tra valore del credito ceduto e prezzo di realizzo avrebbe la natura di ricapitalizzazione preventiva della banca cedente, compatibile con la direttiva BRRD. La proposta non comporterebbe quindi alcuna condivisione dei rischi fra sistemi bancari di diversi paesi, dato che la ricapitalizzazione della banca sarebbe a carico del paese nel quale la banca ha sede.
Si tratta quindi di una soluzione europea, con riferimento alla quale andrebbero approfondite le specificità che caratterizzano i singoli paesi. Fra le slide impiegate nel corso dell’intervento citato[1], una in particolare (p.10), mette in evidenza come, secondo i dati a fine giugno 2016, l’Italia sia l’unico paese avente la duplice caratteristica di un’elevata quota (16,4%) di crediti deteriorati (NPL) sul totale dei crediti lordi e una elevata dimensione di crediti deteriorati (€ 276 miliardi). Fra gli altri paesi con un’elevata incidenza del problema dei crediti deteriorati (Cipro, Grecia, Portogallo, Slovenia), solo la Grecia ha uno stock complessivo lordo superiore a € 100 miliardi, mentre sono caratterizzati da crediti deteriorati per ammontare superiore alla soglia dei € 100 miliardi (oltre alle già citate Italia e Grecia) solo Francia (€ 148 miliardi) e Spagna (€ 141 miliardi), ma con incidenze molto inferiori (rispettivamente pari al 3,9 e al 6%). Oltre alla dimensione e all’incidenza del fenomeno, molte sono le differenze che caratterizzano i diversi sistemi finanziari, quali l’assetto del sistema legale, il grado di patrimonializzazione delle banche, la fase del ciclo immobiliare all’interno della quale i processi di realizzo delle garanzie si andrebbero a collocare, il ‘vintage’ delle partite deteriorate. Tali differenze e le loro conseguenze vanno tenute ben presenti, altrimenti si rischia di introdurre un ulteriore elemento di ‘forzata omogeneizzazione’ nell’ambito di un sistema (l’architettura finanziaria europea generale) già soggetto a una crisi di sviluppo con riferimento proprio alla necessità di omogeneizzare in breve tempo ordinamenti e prassi originariamente distanti.
In secondo luogo, la soluzione prospettata mette in luce la correlazione esistente tra valore recuperabile e tempo di recupero. Il tempo è infatti uno dei ‘contributi netti’ che la soluzione delineata apporta al contesto (la mancata acquisizione a titolo definitivo dalle banche dei crediti deteriorati e la inibizione alla mutualizzazione delle perdite tra diversi escludono infatti contributi netti in termini di valore). Tuttavia non va trascurata l’influenza esercitata sul tempo di recupero, oltre che sul valore recuperabile, dagli assetti ambientali, in particolare dal sistema legale e giudiziario e dalla situazione del mercato degli asset a garanzia. Con riferimento al tempo va poi osservato che il tema dell’AMC assume un risvolto temporale indiretto e negativo che influenza altre possibili soluzioni eventualmente in corso: la discussione – senza decisione - di una possibile soluzione infatti tende a costituire fattore di dilazione di soluzioni alle quali i diversi soggetti stessero autonomamente lavorando. La fissazione di un termine triennale non aiuta poi il sostegno del valore degli asset, in un mercato che, per sua natura e ancora maggiormente nella congiuntura attuale, è un mercato del compratore. Più opportuno sarebbe non prevedere una scadenza ravvicinata e nemmeno un ammontare massimo di risorse impiegabili: solo l’indeterminatezza circa tali due elementi può fungere da effettivo backstop all’erosione del valore degli asset da liquidare.
In terzo luogo, la denominazione stessa ‘asset management’ attira l’attenzione sul tema centrale di una parte cospicua dei crediti deteriorati, le sofferenze, per le quali è corretto che la logica passi da approccio di tipo creditizio a uno di mera valorizzazione degli asset, in particolare per le sofferenze assistite da garanzie reali. Cambiando l’approccio devono essere diversi anche gli strumenti di gestione e le strutture alle quali tale gestione sia affidata. Le passate crisi bancarie e le esperienze di comparativo successo che le hanno caratterizzate mettono in luce alcuni aspetti fondamentali, ai quali qualsiasi intervento sul tema degli NPL delle banche, anche in considerazione dell’esito delle soluzioni precedentemente utilizzate, dovrebbe attenersi:
avere una visione d’insieme e di medio termine, non limitandosi alle situazioni più acute e immediate. Il valore degli asset e soprattutto la fiducia da parte della clientela e quella reciproca tra controparti hanno per loro natura notoriamente caratteri sistemici.
Fonte:
Anolli M., Una bad bank europea, 2017
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