L’amministrazione finanziaria non può sindacare le strategie commerciali e i costi sostenuti dall'imprenditore, negandone così la deducibilità. E’ questa l’importante conclusione a cui è giunta la Suprema Corte con la sentenza n. 10319 del 20 maggio 2015.
Gli ermellini motivano l’assunto precisando che, in tema di imposte sui redditi, nei poteri dell’Amministrazione finanziaria rientra sì quello di valutare la congruità di costi e ricavi risultanti dal bilancio e dalle dichiarazioni negando eventualmente la deducibilità di parte di un costo non proporzionato ai ricavi o all'oggetto dell’impresa, ma tale sindacato non può arrivare a verificare oggettivamente l’opportunità di quel determinato costo rispetto all'attività.
La Suprema Corte rigetta così il ricorso proposto dell’Agenzia delle Entrate nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che aveva annullato un avviso di accertamento ai fini IVA, IRPEG e IRAP per l’anno d’imposta 1999, con il quale l’Uffizio aveva negato la deducibilità dei costi derivanti dal contratto di somministrazione in atto fra la società contribuente
In altri termini, l’Agenzia delle entrate contestava un contratto di somministrazione sottoscritto fra aziende facenti parte dello stesso gruppo.
La sezione tributaria spiega che per la deducibilità dal reddito d’impresa di un costo sostenuto dall’imprenditore è sufficiente che esso sia correlato all’impresa in quanto tale, al fine di svolgere un’attività inerente ed idonea a produrre utili.
La Suprema Corte conferma il verdetto impugnato, ritenendolo conforme ai principi che regolano il raggio d’azione dei poteri dell’Amministrazione Finanziaria, nel quale non rientra un sindacato teso a verificare la necessità e/o opportunità dei costi rispetto all’oggetto dell’attività. Sarebbe un controllo che si esplicherebbe in valutazioni di strategia commerciale, riservate all’imprenditore e, in quanto tali, insindacabili.
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