Il 2022 sarà un anno decisivo per l'Euro.
Il carico del debito pubblico dell'Italia potrebbe alla fine far fallire l'esperimento della valuta condivisa europea?

Nel bene o nel male, il futuro dell'euro sarà probabilmente deciso quest'anno. 

Nel tentativo di generare inflazione, le banche centrali hanno ridotto a zero o anche meno, i tassi di interesse a breve termine degli ultimi 20 anni e hanno ampliato i loro bilanci a livelli prima inimmaginabili. La Banca centrale europea è stata particolarmente aggressiva. I tassi sui depositi in euro sono -0,5% e il bilancio della BCE è carico di 8,5 trilioni di euro (9,66 trilioni di dollari) di debito degli Stati, quattro volte di più rispetto all'inizio del 2015.

Laddove la BCE si è differenziata dalle altre banche centrali è nell'altro suo obiettivo, generalmente non dichiarato: mantenere il progetto dell'euro sulla buona strada evitando che i rendimenti dei titoli di Stato emessi dai suoi membri più deboli aumentino bruscamente. A quanto pare, questo rende l'euro molto meno stabile.

La BCE non può ignorare che i tassi a breve e lungo termine, follemente bassi, avrebbero generato l’aumento dell'inflazione, quando questa prima non c’era. La recente ondata inflazionistica ha messo a tacere questa idea. L'inflazione è aumentata del 5% a dicembre rispetto all'anno precedente, Eurostat ha annunciato il 7 gennaio, il livello più alto nella storia dell'euro. Stranamente, la BCE ha continuato a sostenere che questo scatto è temporaneo. Date le attuali impostazioni estreme di politica monetaria, l'intransigenza della BCE può essere compresa solo se si riconosce che negli ultimi anni la banca centrale non è stata indipendente in alcun senso significativo. Ora è saldamente sotto il controllo dei mutuatari del governo, in particolare di quelli più deboli all'interno della zona euro.

Diventando dunque a sua volta, più debole.

L'euro ha registrato una tendenza al ribasso da quando ha raggiunto il picco contro il dollaro nel 2008

Negli ultimi mesi, i paesi creditori della zona euro, generalmente del nord Europa, sono diventati sempre più espliciti sul fatto che l'attuale politica non può continuare, sia perché sono preoccupati per l'inflazione interna, sia perché sono stufi di sovvenzionare paesi più dissoluti. L'accordo concluso alla fine dell'anno scorso prevedeva che l'espansione del bilancio sarebbe terminata e che la BCE avrebbe fornito criteri espliciti per spostare più in alto i tassi a breve termine. In primo luogo, l’indice inflazionistico, che esclude cibo ed energia, dovrebbe tendere al ribasso. In secondo luogo, le previsioni di inflazione della BCE nell'anno in corso e in quello successivo dovrebbero essere del 2% o più. A fine dicembre, la banca centrale ha annunciato che, pur prevedendo un'inflazione del 3,2% quest'anno, il tasso sarebbe miracolosamente sceso all'1,8% nei due anni successivi.

Membri autorevoli della BCE mettono apertamente in discussione queste previsioni, inclusa l'influente Isabel Schnabel, la rappresentante tedesca nel consiglio direttivo. L'8 gennaio, ha affermato che la transizione verso un'economia più verde potrebbe significare probabilmente un calo dei prezzi dell'energia, come ipotizzano le previsioni del dipartimento di ricerca della BCE, sotto la colomba Philip Lane. Se però rimanessero dove sono, le previsioni di inflazione della BCE sarebbero sostanzialmente da ridefinire al rialzo. Questa pressione apre le porte ad aumenti dei tassi, forse anche entro la fine di quest'anno.

Nel frattempo, quel suono stridente che si sente è la BCE che schiaccia il freno all'espansione del bilancio. In generale, la BCE ha attualmente tre programmi: un programma di acquisto di asset (APP) di lunga durata, il programma di acquisto di emergenza pandemica (PEPP) e una terza ipotesi di piano per incoraggiare le banche a prestare all'economia reale, mirato ad operazioni di rifinanziamento a più lungo termine, noto come TLTRO. Il PEPP è stato lanciato all'inizio del 2020 per evitare che le aspettative di inflazione scendessero, ha affermato la BCE.

Nell'ambito di questo programma, che dovrebbe concludersi a marzo, la BCE ha acquistato circa 1,5 trilioni di euro di obbligazioni. Al suo apice lo scorso anno, gli acquisti combinati di obbligazioni da parte della BCE nell'ambito dell'APP e del PEPP sono stati di 100 miliardi di euro al mese. Sebbene gli acquisti dall'APP verranno leggermente aumentati per contribuire a compensare la fine del PEPP, gli acquisti diretti della BCE scenderanno a 20 miliardi di euro al mese entro la fine dell'anno. Dato che l'inflazione è stata così persistentemente alta rispetto al suo obiettivo e che i tassi a breve sono ancora così negativi, la BCE potrebbe addirittura porre fine al PAA già a ottobre.

Poi c'è il TLTRO, che ha consentito alle banche di finanziarsi fino a mezzo punto percentuale in meno rispetto al tasso sui depositi della BCE, attualmente -0,5%. Tali finanziamenti dovevano essere utilizzati per concedere prestiti all'economia reale, ma le condizioni in cui le banche potevano prendere in prestito a tassi molto bassi erano facili da definire. Sebbene alcune istituzioni abbiano semplicemente utilizzato questo programma per ridurre il loro mix di finanziamento complessivo, non c'è dubbio che altri abbiano utilizzato il denaro per acquistare titoli di Stato, anche quelli più rischiosi. Anche se non sappiamo quanto, l'importo è probabilmente elevato dato che ci sono circa 2,4 trilioni di euro di prestiti TLTRO in essere. Quelle condizioni favorevoli si esauriscono su 1,2 trilioni di euro di prestiti a giugno e, a meno che i termini non vengano prorogati – e non c'è motivo per farlo – potremmo presto scoprire quanto è stato utilizzato per acquistare obbligazioni più rischiose. A parità di condizioni, il bilancio della BCE si contrarrà probabilmente di oltre 1 trilione di euro a giugno, poiché il suo sostegno indiretto ai mercati obbligazionari diminuirà.

Che cosa avverrà? Il motivo principale per cui la BCE ha preferito porre fine a questi programmi è che molti membri del suo consiglio hanno paura di ciò che accadrà ai rendimenti obbligazionari, in particolare quelli dei membri più deboli della zona euro. La banca centrale ha detto che interverrà se gli spread di rendimento si allargheranno in modi ingiustificabili. Con cosa, però? E cosa significa ingiustificabile? La preoccupazione maggiore è l'Italia, sia per le sue dimensioni (ha uno dei più grandi mercati di titoli di Stato al mondo) che per la dinamica del debito. In base allo sgangherato patto di crescita e stabilità, i paesi dell'euro sono tenuti a cercare di limitare il proprio debito al 60% del PIL. Tutti i membri hanno visto i loro rapporti nettamente più alti negli ultimi due anni, ma quest'anno quello italiano sarà salito a circa il 155% del PIL, con un aumento di 50 punti percentuali dal 2007. Le banche italiane, inoltre, dipendono fortemente dal programma TLTRO per il loro finanziamento, quindi le banche sono riluttanti a concedere prestiti. Tale è lo stato di inefficacia dei governi italiani che si sono succeduti, che i politici non hanno fatto nulla per riformare il sistema finanziario o altro.

Con la BCE a corto di strumenti per calmare i mercati, una probabile crisi quest'anno appare inevitabile. La maggior parte dei paesi, in particolare i paesi debitori (compresa la Francia), hanno cercato di smantellare le regole progettate per tutelare le loro controparti creditrici. Qualora i paesi dell'Europa settentrionale dicessero basta, si creerebbe un enorme rischio di credito, per il quale gli investitori sono terribilmente sotto tutelati. Man mano che la BCE si allontanerà dal mercato, e ciò diventerà fin troppo evidente quando gli spread di rendimento per i mutuatari più rischiosi aumenteranno, la situazione  sarà evidente a tutti in modo drammatico.

Ci sono sostanzialmente tre modi in cui questo potrebbe essere risolto. Il primo è che l'Italia vada in default. Poiché gran parte del suo debito è detenuto a livello nazionale, ciò significherebbe essenzialmente che il governo impone perdite ai propri cittadini. Ipotesi alquanto problematica. La seconda è che l'Italia esca dall'euro. Da un punto di vista italiano, ciò avrebbe il vantaggio di imporre perdite ai paesi creditori come la Germania attraverso i saldi in essere nel sistema di “regolamento” Target 2. 

Questa opzione farebbe sembrare la Brexit un gioco da ragazzi.

Tali probabili ipotesi hanno generato l’idea di una sorta di mutualizzazione dei debiti esistenti, trasferendoli dalla BCE in un apposita agenzia di gestione del debito, con la promessa di fare meglio in futuro. L'ex presidente della BCE e attuale primo ministro italiano Mario Draghi ed Emmanuel Macron, il presidente francese in carica, che si candida alle elezioni in primavera, hanno firmato una lettera congiunta poco prima di Natale, chiedendo implicitamente il trasferimento di tutto il debito pubblico della zona euro dal 2007 a tale agenzia. 

La Germania naturalmente sarebbe oltremodo contraria a qualsiasi mossa del genere. Così farebbero i paesi dell'Europa orientale che hanno speso anni a tagliare i debiti per entrare nell'euro.

Affinché l'euro sopravviva, però sarà necessario un qualche tipo di compromesso. Il problema è che i paesi creditori difficilmente scenderanno a compromessi,  fino a quando la potenziale situazione non sarà abbastanza grave. E la potenziale situazione, sospetto, coinvolgerebbe l'Italia, che minaccia di lasciare l'euro.

 

Fonte: https://www.bloomberg.com/opinion/articles/2022-01-11/the-euro-is-facing-a-make-or-break-year