Dimissioni, Obbligo di preavviso e riforma Fornero
 

Il lavoratore che intende risolvere il proprio rapporto di lavoro  è obbligato a comunicarlo tempo prima al datore di lavoro, (cd. obbligo di preavviso).

Nel caso in cui ciò non avvenga, il lavoratore sarà tenuto a corrispondere al datore di lavoro un’indennità di mancato preavviso. Vi sono però alcuni casi in cui questo obbligo non sussiste, o addirittura il lavoratore può chiedere di risolvere immediatamente il rapporto di lavoro e farsi pagare la relativa indennità sostitutiva.

I casi ove non sussiste obbligo di comunicare il preavviso sono:

  • Recesso durante o al termine del periodo di prova; 
  • Risoluzione del rapporto allo scadere del contratto a tempo determinato; 
  • Risoluzione consensuale (cioè entrambe le parti concordano di interrompere il rapporto di lavoro); 
  • Durante i periodi di sospensione dal rapporto per intervento della Cassa integrazione (Pret. Firenze 11 marzo 1988).
  • In altri invece è legittimo, o addirittura previsto dalla legge, che al lavoratore/lavoratrice dimissionario/a sia riconosciuta, in aggiunta alle normali competenze, la relativa indennità sostitutiva del preavviso, che sono:
  • Dimissioni presentate dalla lavoratrice durante la gravidanza e dalla lavoratrice o dal lavoratore (che abbia usufruito del congedo di paternità) durante il primo anno di vita del bambino. In questo caso vedere la parte specifica nei casi particolari. 
  • Dimissioni per giusta causa (ad es. il datore di lavoro adotta un comportamento ingiurioso e offensivo, non corrisponde la retribuzione per più di due mesi, incorre in molestie sessuali, richiede comportamenti illeciti o in contrasto con la legge): in questo caso il lavoratore ha invece diritto all’indennità sostitutiva del preavviso; 

La giurisprudenza ha precisato in particolare che costituisce giusta causa di dimissioni del dipendente:

  • la mancata corresponsione della retribuzione in quanto grave inadempimento;
  • la mancata regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore; 
  • l'omesso versamento dei contributi previdenziali; 
  • le molestie sessuali; 
  • il mobbing, vale a dire il crollo dell'equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori da parte di superiori gerarchici o di colleghi; 
  • il comportamento offensivo o ingiurioso del datore di lavoro o del superiore gerarchico;
  • le variazioni notevoli delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell'azienda; 
  • lo spostamento del lavoratore da una sede all'altra senza che sussistono le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive previste dall'art. 2103 cod. civ;
  • il fatto che le mansioni affidategli siano state svuotate di contenuto;
  • il tentativo dell'impresa di coinvolgere il dipendente in attività illecite;
  • la mancata predisposizione delle cautele necessarie a garantire la salute e la sarenità professionale del lavoratore violando così il precetto di cui all'art. 2087 del codice civile;
  • l'adibizione del lavoratore al lavoro notturno, quale modalità normale e stabile di svolgimento del rapporto di lavoro e la mancata attuazione delle procedure previste dalla legge.
E' stata esclusa la giusta causa di dimissioni del lavoratore, al quale pertanto non spetta l'indennità sostitutiva del preavviso:
  • per sospensione del lavoro per CIG;
  • per mutamento dell'assetto azionario della società alla quale appartiene l'impresa;
  • per doglianze che riguardino una situazione già conosciuta dal lavoratore all'atto dell'assunzione e accettata tacitamente con l'incarico.
La giurisprudenza ha affermato che il recesso del lavoratore soggiace alla disciplina generale sulla nullità (artt. 1418 e ss. cod. civ.) e annullabilità (artt. 1425 e ss. cod. civ.) dei negozi giuridici.
Sono nulle:
- le c.d. "dimissioni in bianco", cioè l'atto di dimissioni sottoscritto dal lavoratore e consegnato al datore di lavoro, al momento dell'assunzione, che ne può far uso quando ritenga più opportuno;
Sono annullabili:
- le dimissioni rassegnate dal lavoratore a fronte di minaccia del datore di lavoro di licenziamento in caso di rifiuto, semprechè tale minaccia venga provata in giudizio e consista nella prospettazione di un licenziamento illegittimo; 
- le dimissioni rassegnate dal lavoratore che al momento del compimento dell'atto era, anche solo parzialmente o temporaneamente, incapace di intendere o di volere; 
- le dimissioni del lavoratore ove la sua volontà di recedere dal rapporto di lavoro sia stata riconosciuta forzata o comunque viziata (es. perchè estorte sotto la minaccia di essere diffamato). 
L'azione di annullamento può essere esercitata solo da colui a favore del quale è prevista l'annullabilità e si prescrive in cinque anni (art. 1442 cod. civ.). Se la volontà si assume viziata da incapacità di intendere o di volere, anche transitoria ma esistente al momento in cui gli atti sono stati compiuti il termine prescrizionale comincia a decorrere dal giorno in cui l'atto è stato compiuto (art. 428 cod. civ.). 
Diversamente, qualora l'annullabilità dipenda da un vizio del consenso (determinato da errore) o da incapacità legale (artt. 414 e ss. cod. civ.) il termine decorre dal giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto l'errore o il dolo, è cessato lo stato di interdizione o di inabilitazione, ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età
Durata 

La durata del periodo di preavviso è stabilita nella maggior parte dei casi dai contratti collettivi ( CCNL ) e varia a seconda della categoria dei lavoratori (operai o impiegati), del livello di inquadramento, dell’anzianità di servizio.

Durante il preavviso le parti conservano tutti gli obblighi e diritti derivanti dal contratto di lavoro.

Forma 

Il legislatore, con la Riforma Fornero (art. 4, commi 16-23), è tornato a disciplinare le modalità di rassegnazione delle dimissioni.

La procedura di convalida rappresenta la prima novità.
I commi 17 e 18 stabiliscono, infatti, che l’efficacia delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto viene sottoposta alla condizione sospensiva di convalida delle stesse:
a) presso la Direzione Territoriale per il Lavoro (ex. D.P.L.);
b) oppure, presso il Centro per l’impiego territorialmente competente.

In alternativa a questa procedura, il datore di lavoro può far sottoscrivere al lavoratore una specifica dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 21 della legge 264/1949; il comma 19 prevede che, laddove non si proceda alla convalida di cui al comma 17 o alla sottoscrizione di cui al comma 18, il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva, qualora la lavoratrice o il lavoratore non aderiscano, entro il termine di sette giorni dalla ricezione:
1) all’invito a presentarsi presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dalla contrattazione collettiva;
2) all’invito ad apporre la predetta sottoscrizione, trasmesso dal datore di lavoro tramite comunicazione scritta;
3) all’effettuazione della revoca, ovvero il “ripensamento” del lavoratore che va comunque comunicato per iscritto.

La comunicazione contenente l’invito a comparire, deve essere inviata al lavoratore – unitamente alla ricevuta di trasmissione di cui al comma 18 – al proprio domicilio, oppure consegnata a mano per ricevuta dallo stesso, entro il termine di 30 (trenta) giorni dalle dimissioni o dalla risoluzione consensuale; entro 7 (sette) giorni da tale ricezione, la lavoratrice o il lavoratore hanno facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale, offrendo le proprie prestazioni al datore di lavoro. La revoca può essere comunicata in forma scritta: il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca: per il periodo intercorso tra il recesso e la revoca, qualora la prestazione lavorativa non si sia svolta, il prestatore non matura alcun diritto retributivo.

Altra novità è rappresentata dall'ampliamento  da uno a tre anni dalla data di nascita del figlio dell’obbligo di convalida presso la D.T.R. delle dimissioni rassegnate da parte della madre lavoratrice, del padre lavoratore (se solo) o a tre anni dall’ingresso del figlio in famiglia nel caso di genitori affidatari o adottivi; è opportuno chiarire fin da subito che la mancanza di convalida, al contrario di ciò che accadeva con la l. 188/2007, determina la sospensione dell’efficacia e non la nullità delle dimissioni: non viene invece toccata la disciplina del licenziamento che, qualora intimato nel primo anno di vita del nascituro, è sempre e comunque nullo.
Inoltre si estende a tutte le altre forme di dimissioni l’istituto della convalida, coinvolgendo anche la risoluzione consensuale del rapporto: anche in questo caso, la convalida diviene condizione sospensiva dell’efficacia delle dimissioni, che comunque – una volta convalidate – retroagiscono alla data di effettiva rassegnazione.

Quando presentarle 

la data in cui si rassegnano le dimissioni viene normalmente regolata per ogni singolo contratto, possono decorrere dal primo o dal quindicesimo giorno del mese, o rassegnate in qualsiasi momento